Nulla sarà più come prima: la grave crisi pandemica da SARS-CoV-2 ha cambiato il mondo e le abitudini quotidiane di tutte le persone. Anche il mondo della cooperazione sociale è passato da un sano trascorso di costruzione di un sistema di protezione sociale, ad un nuovo modo di interpretare la realtà dei cambiamenti sociali e culturali in atto. Questo fenomeno sarà duraturo, e va considerato che sta profondamente modificando i comportamenti sociali ed il modo di gestire le relazioni e le attività di vita e di lavoro delle persone.
La cooperazione sociale è pronta per affrontare l’impatto di tali fenomeni anche nei servizi e nelle attività del welfare, come già dimostrato in questi difficilissimi mesi. Il terzo settore si appresta ad affrontare, infatti, la difficile ripresa autunnale dopo l’apice dell’emergenza sanitaria.
Il presidente di Polis cooperativa sociale Gianfranco Piombaroli e il sociologo Angelo Palmieri affrontano la questione con un documento dal titolo “Il cantiere del terzo settore nella fase post-Covid” partendo dall’analisi di quanto avvenuto tra marzo e giugno. In quella fase di lockdown infatti il terzo settore ha garantito “i livelli minimi di assistenza e cura”, si è dotato “di codici etici di comportamento e linee guida fai-da-te”, e ha garantito “gli interventi essenziali”, sebbene questo abbia comportato un aggravio dei costi per l’acquisto dei dispositivi di protezione individuale, tamponi e test sierologici, nonché un lavoro di adeguamento strutturale ed organizzativo dei servizi in previsione del riavvio e/o potenziamento di molte attività per il mese di settembre.
Un’analisi di prospettiva
Il primo trimestre 2020 si è chiuso con un forte impatto dei costi da Covid19, con oltre 30mila euro di dispositivi di protezione individuale solo a marzo, con 400mila euro previsti per il 2020 in totale, oltre a 200mila euro per la copertura del Trattamento di fine rapporto dei soci in Fis ed altri costi indiretti sostenuti. Il maggiore costo complessivo alla fine dell’anno per Polis dovrebbe aggirarsi tra i 700 e gli 800mila euro, che gravano pesantemente sul bilancio e sui soci.
Adesso che si prospetta una situazione economica, secondo l’Istat e gli indicatori socio-economici, di recessione, con una azienda su tre costretta a chiudere, il terzo settore è chiamato a resistere e ad operare uno “sforzo progettuale nella ridefinizione delle prestazioni da erogare dei tanti operatori dei servizi educativi e scolastici e delle attività sociosanitarie e socio-assistenziali”.
Per Piombaroli e Palmieri è questo il momento di “un confronto costruttivo e non dottrinale con tutti gli attori che concorrono a definire le politiche sociali e sociosanitarie delle nostre comunità, per condividere un’agenda che abbia come tema principale la sostenibilità dei servizi garantiti”, per “assicurare capacità di spesa e qualità delle prestazioni erogate”, mettendo in trasparenza e valutando assieme le attività così come rimodulate, valutandone congiuntamente equilibrio e sostenibilità economica”.
Per il futuro ed a maggior ragione, si ritiene indispensabile la coprogettazione pubblico-privato per la “costruzione di nuovi e innovativi modelli di servizio” e di uno “strumento di valutazione di impatto sociale in grado di analizzare influenze e ripercussioni che le proprie attività determinano sulle comunità di riferimento”, unitamente all’impatto economico.
Fondamentale sarà il ripensare le strategie del “prendersi cura” non più come “erogazione di servizi assistenziali gestiti esclusivamente a costo”, ma come investimento sociale, di ricucitura del tessuto civile, dei legami personali. Ricordando che il terzo settore, “prima della crisi sanitaria, rappresentava il 5 per cento del Pil (80 miliardi di euro), generando un significativo impatto economico, di risultato occupazionale e di presidio sul territorio” e nelle comunità.
Per Piombaroli e Palmieri siamo di fronte ad “un patrimonio umano e sociale da non disperdere” e ad una presenza reale che può svolgere un ruolo centrale “in questa fase di ricostruzione”. In Polis ci sono 1.266 soci e collaboratori, all’81% al femminile, con 341 nuovi soci nel 2019 e 242 uscite, un saldo occupazionale positivo di 99 soci. La cooperativa è presente in sei regioni: Umbria, Abruzzo, Sardegna, Toscana, Marche, Puglia. E con questi numeri il terzo settore può assurgere al ruolo di “co-protagonista delle politiche al servizio del bene comune”, non in posizione subalterna al pubblico, ma, anzi, da portatori di esperienze, di idee, di progetti da confrontare con il sistema di regolazione e governo strategico del pubblico, per un nuovo welfare lontano dai soliti schemi.