Simonetta Tosti, il sociale in tempo di pandemia

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Simonetta Tosti, il sociale in tempo di pandemia

2021-01-20T10:02:51+01:00 News|

Le emozioni di un anno sono sempre vive nel cuore e nella memoria e raccontano la paura, l’insicurezza, la forza di volontà, l’amicizia degli operatori di Polis cooperativa sociale e degli utenti che usufruiscono del servizio d’assistenza domiciliare.

Simonetta Tosti, quasi un anno di pandemia e di servizi stravolti, resi difficoltosi dall’utilizzo delle mascherine, dal distanziamento sociale, dalla paura del contagio: come è stato questo anno per emozioni, fatica, rapporti umani?

“È stato molto forte, un periodo contrassegnato da grandi emozioni, perché siamo tutti umani e lavoriamo con persone fragili, in difficoltà, costretti a rimanere chiusi in casa, a non vedere nessuno. Il nostro lavoro, che sia domiciliare o di prossimità territoriale, fatto di accompagnamento a visite mediche, di svolgimento di operazioni burocratiche, ritiro medicine, è sempre un servizio alla persona che non può provvedere a se stessa. Anche per me è stato più faticoso. Sul piano umano, poi, abbiamo affrontato un primo momento in cui gli utenti non si rendevano conto di quanto accadeva; ma con il passare del tempo hanno iniziato a comprendere la gravità dei fatti. Qualcuno andava a fare spesa da solo o accompagnato, ad un certo punto hanno preferito, per timore, rimanere in casa. A quel punto ci siamo trovati di fronte anche alla solitudine, ai mancati rapporti umani al parco, in farmacia o nei centri per anziani o di quartiere. Sono venuti a mancare i momenti di socializzazione ed è stato necessario trovare nuovi equilibri. In questo la tecnologia ci ha aiutato molto, tra email, chiamate e videochiamate”.

Ci sono state differenze tra il lockdown di marzo e adesso, a livello lavorativo e umano?

“Alcuni utenti si sono abituati, altri meno. Forse tra il primo periodo e ora è stata la speranza a venire meno. Vivono questa nuova chiusura in maniera peggiore, pessimistica, dopo la dura prova del primo lockdown. Dopo un’estate in cui ho visto occhi felici, ricominciare con il distanziamento e la lontananza da parenti e amici, si è tradotto in stanchezza nell’animo, impazienza, stati d’ansia, depressione e solitudine. Prima c’erano i laboratori ricreativi al Cva, momenti aggregativi o di socializzazione, adesso non c’è nulla di tutto questo. Momenti che mancano anche a me. Per Natale non si è fatto nulla. Pensate a cosa vuol dire passare le feste da soli? Quando andiamo a casa loro si parla solo di Covid, delle notizie che riguardano il vaccino, se farlo o meno. Sono sempre più un punto di riferimento. Il mio lavoro, invece, è cambiato poco, faccio quello che facevo prima, con più accortezze e meno fisicità; mi manca tutto il resto, la serenità, gli abbracci”.

Il vostro, quello degli operatori, è un lavoro particolare, cosa vi ha dato la forza di alzarsi ogni mattina, andare a casa delle persone e portare a termine la giornata?

“La forza si trova nel senso del dovere, nel voler fare bene il lavoro, ma anche ne sentirsi partecipi di una rete di solidarietà, di aiuto e sostegno a chi è da solo. Sarebbe sciocco dire che non è importante lato economico, ma questo lavoro ti mette in rapporto con l’umanità e ti fa sentire utile. Arrivi a fine giornata che sei stanco, ma consapevole di quanto fatto e gratificato da un sorriso, una parola dolce. Mi fa piacere sapere che ho fatto qualcosa di bene, perché l’ho fatto con il cuore e credendo in quello che faccio. Le persone raccontano la loro vita, confidano i ricordi e le speranze, spesso anche le sofferenze. A volte si tratta di persone sole, con reti familiari povere, quindi la nostra presenza è fondamentale: ‘Finalmente ti sei fatta viva’ mi ha detto un utente dopo un po’ che non ci vedevamo”.

Oltre che operatrice Polis sei impegnata con il Banco alimentare e la Caritas diocesana, dove ormai l’emergenza è quotidiana: qual è la situazione, cosa chiedono le persone?

“Il primo lockdown è stato pesante, faticoso. C’erano file scioccanti, di 40-50 persone, all’emporio. Persone di cui prima non sapevamo nulla. Ci siamo ritrovati con mamme che chiedevano aiuto perché il figlio aveva perso il lavoro ed era tornato a casa perché non poteva pagare l’affitto o mangiare. In alcuni casi interi nuclei familiari, padre, madre e figli, che sono tornati dai genitori per superare l’emergenza. Tantissime persone che non possono pagare le bollette delle utenze e affitti, che hanno difficoltà ad arrivare a fine mese. All’emporio sono state tante le attivazioni di pasti a domicilio, da parte del Comune di Perugia e gestiti dai volontari, per utenti con difficoltà economiche. Stiamo affrontando un’emergenza che non è solo sanitaria, con tanti morti, ma anche economica, sociale e umana”.

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